QUEL CHE SEGUÌ: PROLOGO (T)
«E quello adesso che cos’è?» Owen Paris, Ammiraglio della Flotta Stellare a capo del Progetto Pathfinder, guardò incredulo lo schermo di fronte a sé, non riuscendo a comprendere appieno cosa i sensori gli stessero mostrando. Il Tenente Reginald Barclay, trasferitosi sulla Terra qualche mese prima dall’Enterprise al comando del Capitano Picard, rispose prontamente: «Sembra un varco di transcurvatura. A meno di un anno luce dalla Terra.» Uno degli altri ammiragli presenti all’interno del centro operativo domandò: «Vascelli Borg in arrivo?» Barclay scosse il capo, dubbioso: «Non abbiamo una lettura chiara, ma le emissioni gravitoniche sono fuori scala!»
Paris si voltò a guardare una donna con la divisa tipica del dipartimento scientifico, ordinandole: «Avverta tutte le navi nella zona di convergere subito a quelle coordinate.» Con un «Sì, ammiraglio!» l’interpellata si mise immediatamente a trasmettere gli ordini ricevuti; Owen Paris, da parte sua, sperò ardentemente che il numero di navi ed equipaggi che avrebbero avuto modo di raccogliere in così breve tempo fosse sufficiente ad affrontare qualsiasi minaccia si sarebbero trovati ad affrontare.
***
La U.S.S. Voyager (NCC-74656), vascello federale di classe Intrepid divenuto tristemente famoso per l’essersi ritrovato a 70.000 anni luce da casa suo malgrado, aveva da poco imboccato l’ingresso del tunnel transcurvatura individuato grazie all’aiuto offerto da una versione futura di Kathryn Janeway, ormai Ammiraglio, mentre questa combatteva la sua personale battaglia contro la Regina Borg.
Il piano messo a punto dalle due Janeway, il Capitano della Voyager e l’Ammiraglio proveniente dal futuro, prevedeva di distruggere l’intero hub di transcurvatura in possesso dei Borg, di contaminare con un virus letale la Collettività e di raggiungere, proprio grazie alla poderosa rete di condotti nemici, l’agognato Quadrante Alpha. Ma come sempre i Borg erano riusciti ad adattarsi, certo non completamente, ma quel tanto che bastava per mettere in atto un ultimo disperato tentativo di distruggere la nave federale e preservare loro stessi.
Inseguita dall’ultima sfera Borg superstite, la Voyager, rinforzata con una corazzatura ablativa frutto di tecnologia futura, resisteva strenuamente ai colpi nemici, mentre il tunnel a transcurvatura collassava dietro di lei. In plancia il Capitano Janeway ascoltava attentamente i rapporti dalle varie postazioni, mentre tutta la nave sussultava ad ogni danno subito.
Tuvok, dalla console tattica abbozzò un rapporto della situazione: «La corazza di poppa è scesa al 6%.»
Il Guardiamarina Kim gli fece eco dalla postazione operativa: «Brecce nello scafo dal ponte 6 a 12.»
Paris, al timone, riferì di non riuscire a mantenere la distanza minima di sicurezza dalla sfera inseguitrice. Sette di Nove, rispondendo a una richiesta del Primo Ufficiale Chakotay di trovare una via di fuga dal condotto a transcurvatura, notificò che la prima uscita disponibile non avrebbe portato la Voyager dove il Capitano voleva che andasse. Janeway sembrava voler conficcare le unghie nei braccioli della sua poltrona, era il momento di prendere una decisione estrema, come una delle tante che avevano contraddistinto i suoi sette anni di peregrinazione nel Quadrante Delta, e non era il caso di essere pavidi.
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Nella plancia della U.S.S. Prometheus (NX-74913), nave prototipo per la classe Prometheus, regnava l’impegnata quiete di chi conosce la propria routine e non ha bisogno di essere guidato nel proprio lavoro. Alla postazione tattica, il Tenente Comandante Eva Ferrari, una donna minuta di media altezza, con capelli castani corti e fisico snello e in forma, stava analizzando alcuni dati reindirizzati alla sua console dai sensori esterni, quando un avviso sonoro, seguito da uno luminoso, attirò la sua attenzione.
«Capitano,» annunciò un istante più tardi, «stiamo ricevendo una trasmissione dal Comando della Flotta Stellare, Centro di Ricerca per le Comunicazioni, Progetto Pathfinder. Ordinano di dirigerci immediatamente alle seguenti coordinate,» che si affrettò a inviare alla postazione di comando dove il suo Capitano, una Trill unita di nome Jaze Taanis, sovraintendeva la plancia, «dove è stata rilevata l’apertura di un corridoio transcurvatura di origine Borg.»
La Trill non perse tempo e ordinò immediatamente al timoniere di impostare la rotta più veloce per le coordinate stabilite, dando immediatamente disposizione di eseguire l’ordine: qualche istante più tardi, la Prometheus si ritrovò a viaggiare a velocità curvatura in direzione dell’anomalia.
«Avverta il Progetto Pathfinder che ci stiamo dirigendo alle coordinate, Comandante,» ordinò Henry Raynolds, Ufficiale Esecutivo della Prometheus, e poco dopo Ferrari rispose: «Progetto Pathfinder avvisato, signore. Ci chiedono l’E.T.A. e ci informano che altri vascelli sono stati mobilitati per raggiungere il luogo; si unirà anche l’ammiraglia Klingon.»
«E.T.A. in meno di cinque minuti, Comandante,» rispose prontamente il timoniere, di nome Nicolas Rouest, permettendo a Ferrari di riportare l’informazione al centro di comando Pathfinder nei laboratori del Centro di Ricerca per le Comunicazioni.
Il Capitano Taanis fece poco caso allo scambio di battute dei suoi ufficiali, cosa comune e che, nei momenti di maggior necessità come quello, permetteva di accelerare i tempi e dava all’equipaggio la possibilità di farsi trovare pronto di fronte alla maggior parte delle sorprese. Il Tenente Rouest, umano di origine francese nato nei pressi di Tours, ai tempi dell’Accademia e poco dopo il diploma aveva prestato servizio presso lo Zefram Cochrane Space Flight Center come collaudatore, iniziando come tirocinante durante gli stadi finali di un progetto, durato due anni, che aveva interessato l’allora Guardiamarina Eva Ferrari, poco prima che la donna venisse chiamata a prestare servizio attivo a bordo dell’Europa (uno dei primi vascelli di classe Sovereign varati agli inizi degli anni 2370) come timoniere.
Avendo lavorato a così stretto contatto per diversi mesi, quando entrambi gli ufficiali erano stati assegnati al progetto Prometheus, prima, e alla Prometheus, poi, c’era voluto relativamente poco tempo affinché i due ritornassero a funzionare come due ingranaggi ben oliati all’interno di un meccanismo più grande.
Raynolds intervenne, consigliando cautela: «Vediamo di non farci trovare impreparati. Scudi alzati, armi pronte. Portiamoci in allarme rosso.» Ferrari annuì, rispondendo con un «Sì, signore,» e obbedendo puntualmente agli ordini: immediatamente, le luci in plancia si abbassarono, sulle pareti iniziò a lampeggiare il rosso dell’emergenza e nell’aria risuonò il clacson associato alla condizione di allarme in cui si trovavano.
Una manciata di minuti più tardi, la Prometheus uscì dalla curvatura per ritrovarsi in schieramento con altri vascelli federali, tra cui spiccavano un’altra classe Prometheus e la Negh’Var, la più imponente nave Klingon mai costruita.
Taanis si accomodò meglio sulla propria poltrona, in centro alla plancia, e guardò con attenzione lo schermo di fronte a sé, prima di ordinare: «Comandante Ferrari, mantenga costantemente i sensori sull’area circostante e presti attenzione alla minima variazione registrata.» Non aspettò la risposta di conferma del proprio ufficiale tattico, rivolgendosi immediatamente dopo a Lavelle: «Tenente, ci metta in contatto con il resto della flotta e cerchiamo di capire chi sia al comando, per riuscire a coordinarci in maniera efficiente: non vogliamo di certo lasciarci prendere alla sprovvista e sopraffare.»
*
«Abbiamo diciotto navi già in posizione, e altre nove in arrivo,» annunciò uno degli ammiragli presenti nel piccolo centro di comando del Progetto Pathfinder, momentaneamente prestato a console di rilevamento. L’Ammiraglio Paris annuì appena, prima di ordinare l’apertura di un canale di comunicazione con la flotta in via di assemblaggio, dopodiché: «Parla l’Ammiraglio Paris. Usate tutta la forza necessaria. Ripeto: tutta la forza necessaria.»
Un istante più tardi, Barclay annunciò: «Signore, sta emergendo un vascello.» Lo schermo di fronte a loro mostrò, immediatamente dopo che l’ingegnere terminò la frase, una sfera Borg accompagnata da una raffica serrata di phaser diretta al suo indirizzo.
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Nella plancia della Voyager regnava una sorta di caos controllato, con ufficiali, sottufficiali e marinai impegnati indefessamente nei loro compiti, senza la concessione di un solo attimo di respiro. Del resto, la situazione in cui si trovavano non richiedeva altro che la massima concentrazione e attenzione: non erano ammessi sbagli di alcun tipo, ne andava delle loro vite e della loro destinazione finale.
Le luci erano abbassate, come da protocollo in caso di allarme rosso, e il suddetto allarme era stato silenziato, per evitare distrazioni ulteriori. Grazie a una precisa manovra del Tenente Paris, la Voyager si era insinuata tra gli anfratti della sfera Borg, eludendone l’inseguimento; ora la sfera continuava la sua corsa verso il Quadrante Alpha, ignara di ciò che stava trasportando con sé.
Janeway, senza togliere lo sguardo dallo schermo principale, si rivolse a Tuvok: «Armi un siluro transfasico.»
Il Vulcaniano digitò alcuni comandi sulla sua console e, dopo pochi istanti, confermò: «Siluro armato e pronto al lancio.»
Un cambio improvviso di velocità indicò l’uscita della sfera dal condotto borg, verso lo spazio aperto, e, con essa, anche della Voyager, sempre all’interno della nave nemica. Alcuni scossoni subiti dal vascello Borg sembrarono indicare un attacco, proveniente dall’esterno, ma nessuno si preoccupò più di tanto: Janeway si alzò dalla propria poltrona, dirigendosi verso la postazione del timone e il Tenente Paris la rassicurò che le coordinate raggiunte erano quelle previste. Rimaneva un’ultima cosa da fare: con un risoluto sguardo e un semplice «Signor Tuvok…» il Capitano indicò al Vulcaniano di fare fuoco.
Quel solo ed unico colpo oltrepassò ogni corazzatura Borg, innescò un processo di disgregazione della materia in energia e fece collassare la sfera in una serie di esplosioni concatenate.
«Signor Paris, massima velocità di fuga. Ci porti fuori da questo incubo.» Janeway aveva quasi sussurrato al fianco del timoniere. E con lo stesso tono, e la voce appena rotta dall’emozione, si lasciò andare ad un commosso «È andata!», quando vide sullo schermo principale, dissolti i fuochi dell’esplosione della sfera, una flotta di navi federali ad accoglierli.
*
Quando la sfera Borg emersa dal corridoio di transcurvatura aveva iniziato a esplodere, l’Ammiraglio Paris si era affrettato a dare ordine di cessare il fuoco, venendo immediatamente obbedito dalla flottiglia di navi così velocemente assemblatasi all’imboccatura del condotto. Quando, dalla palla di fuoco che seguì la distruzione del vascello nemico, comparve la Voyager, tutti furono presi da un momento di sorpresa, non aspettandosi di certo di vedere, dopo tanto penare, la nave federale data lungamente per dispersa.
L’Ammiraglio Paris fu il primo a riprendersi, affrettandosi a chiedere l’apertura di un canale di comunicazione con la classe Intrepid e, pochi istanti più tardi, il ponte di comando della Voyager comparve di fronte allo staff di ufficiali variamente assemblati all’interno dei laboratori ospitanti il Progetto Pathfinder.
Di tutte le parole che si dissero in quel frangente, solo una rimase impressa nella mente di tutto l’equipaggio presente in quel momento nella plancia del vascello finalmente ritornato a casa, un’unica parola detta dall’Ammiraglio Paris: Bentornati.
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